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SOLITUDINE
Sono già passati due anni, ma non riesco a darmi pace a farmene una ragione.
Essere lasciati soli in mezzo a milioni di persone.
Quando ci è stato comunicato il verdetto tremendo, incurabile, sei mesi – un anno di vita, dire che ci è crollato il mondo addosso è dire poco.
Quella malattia tremenda, improvvisa, senza nessuna avvisaglia, è stata un macigno insopportabile umanamente, non volevamo crederci, ci sembrava impossibile.
Uscendo dall’ospedale, due giorni dopo la diagnosi, eravamo frastornati, senza minimamente immaginare cosa ci aspettava, come ci saremmo dovuti comportare, una dottoressa vedendoci ci ha detto: ”non vi lasceremo soli, qui a Roma c’è un’associazione che aiuta questi casi” – abbiamo risposto- “non siamo di Roma” – e la dottoressa – “non saprei…” – come dire – “allora arrangiatevi”.
Per circa tre mesi SOLI nessuno ci aiutava: non era una malattia congenita, non era una patologia psichiatrica, la persona malata non era in grado di intendere e di volere, anche con dei momenti violenti; chiedevamo aiuto a Poggio Mirteto a Rieti, ASL – CIM – OSPEDALI tutti ci rispondevano che non era compito loro, una persona autor4evole di Stimigliano ci disse “rinchiudetelo” – non ho risposto.
Se in quel periodo non siamo crollati è stato grazie all’auto ed al supporto di alcuni parenti, aiuto che dura ancora, e due o tre amici (spariti dopo la sua morte).
Non ci sono parole per descrivere e far capire la nostra sofferenza, il nostro stato d’ animo, la nostra vita, se quella si poteva chiamare vita.
Quando raccontiamo questi fatti c’è ancora chi si meraviglia, ma ci si chiede se è possibile che non esistano strutture in grado di aiutare materialmente, psicologicamente le persone malate ed i familiari a superare momenti indescrivibili di sofferenza, di paura, di solitudine.
Poi durante un ricovero per una vena ad una gamba, una dottoressa ha inoltrato la richiesta per l’intervento domiciliare del personale medico di Nepi,dopo molte raccomandazioni siamo stati inseriti in quella struttura ed abbiamo trovato chi ci ha aiutato a portare la croce.
Dottori ed infermieri, persone meravigliose, sempre presenti, giorno e notte, anche con la psicologa, che ci hanno tenuti per mano fino all’ultimo giorno.
Penso che senza di loro la nostra mente, in particolare, non avrebbe retto.
Anche adesso la solitudine è pesantissima e durissima, ma questa non può essere curata, si stringono i denti e si tira avanti.
L'autore ha richiesto la pubblicazione in forma anonima.
L'opinionista
Sono già passati due anni, ma non riesco a darmi pace a farmene una ragione.
Essere lasciati soli in mezzo a milioni di persone.
Quando ci è stato comunicato il verdetto tremendo, incurabile, sei mesi – un anno di vita, dire che ci è crollato il mondo addosso è dire poco.
Quella malattia tremenda, improvvisa, senza nessuna avvisaglia, è stata un macigno insopportabile umanamente, non volevamo crederci, ci sembrava impossibile.
Uscendo dall’ospedale, due giorni dopo la diagnosi, eravamo frastornati, senza minimamente immaginare cosa ci aspettava, come ci saremmo dovuti comportare, una dottoressa vedendoci ci ha detto: ”non vi lasceremo soli, qui a Roma c’è un’associazione che aiuta questi casi” – abbiamo risposto- “non siamo di Roma” – e la dottoressa – “non saprei…” – come dire – “allora arrangiatevi”.
Per circa tre mesi SOLI nessuno ci aiutava: non era una malattia congenita, non era una patologia psichiatrica, la persona malata non era in grado di intendere e di volere, anche con dei momenti violenti; chiedevamo aiuto a Poggio Mirteto a Rieti, ASL – CIM – OSPEDALI tutti ci rispondevano che non era compito loro, una persona autor4evole di Stimigliano ci disse “rinchiudetelo” – non ho risposto.
Se in quel periodo non siamo crollati è stato grazie all’auto ed al supporto di alcuni parenti, aiuto che dura ancora, e due o tre amici (spariti dopo la sua morte).
Non ci sono parole per descrivere e far capire la nostra sofferenza, il nostro stato d’ animo, la nostra vita, se quella si poteva chiamare vita.
Quando raccontiamo questi fatti c’è ancora chi si meraviglia, ma ci si chiede se è possibile che non esistano strutture in grado di aiutare materialmente, psicologicamente le persone malate ed i familiari a superare momenti indescrivibili di sofferenza, di paura, di solitudine.
Poi durante un ricovero per una vena ad una gamba, una dottoressa ha inoltrato la richiesta per l’intervento domiciliare del personale medico di Nepi,dopo molte raccomandazioni siamo stati inseriti in quella struttura ed abbiamo trovato chi ci ha aiutato a portare la croce.
Dottori ed infermieri, persone meravigliose, sempre presenti, giorno e notte, anche con la psicologa, che ci hanno tenuti per mano fino all’ultimo giorno.
Penso che senza di loro la nostra mente, in particolare, non avrebbe retto.
Anche adesso la solitudine è pesantissima e durissima, ma questa non può essere curata, si stringono i denti e si tira avanti.
L'autore ha richiesto la pubblicazione in forma anonima.
L'opinionista